Il grande Torino - 5 maggio 1949

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    Ferruccio Novo, ovvero come costruire il mito
    Se si vuole trovare una data di nascita a quel fenomeno di sport e passione chiamato Grande Torino, non si può non andare all'estate del 1939, quando l'industriale Ferruccio Novo a 42 anni assume la presidenza del AC Torino succedendo all'Ing. Giovanni Battista Cuniberti.

    Novo non era un mecenate, ma un attento amministratore: era entrato al Toro giovanissimo, addirittura vestendone la maglia di giocatore, nel 1913: giocatore non eccelso («Ero una schiappa» diceva sorridendo), continuò negli anni a seguire la squadra con entusiasmo da tifoso prima, con compiti di socio-finanziatore e consigliere poi, una volta avviata con il fratello una fabbrica di accessori in cuoio.

    Le prime mosse in granata furono dunque quelle di riorganizzare la società e, seguendo i suggerimenti di Vittorio Pozzo, rendere la gestione più simile ai modelli delle squadre inglesi, allora all'avanguardia: si circondò di collaboratori competenti, come gli ex giocatori Antonio Janni e Mario Sperone (Campioni d'Italia del 1928), e Giacinto Ellena; a Rinaldo Agnisetta venne affidato il ruolo di amministratore delegato, Roberto Copernico (aveva un negozio di abbigliamento in centro) fu chiamato al ruolo di consigliere, all'inglese Leslie Lievesley andò il ruolo di allenatore delle giovanili, mentre la guida tecnica fu data a Ernest Egri Erbstein (che, in quanto di origine ebraica, a causa delle leggi razziali collaborò lungamente in incognito).

    Il primo "colpo" di Novo fu senz'altro l'acquisto dal Varese del talentuoso diciottenne Franco Ossola che, con il senno di poi, ha rappresentato la prima pedina dello squadrone: fu prelevato per 55 mila lire, poco per l'epoca, dietro suggerimento di Janni (che allenava proprio il Varese) e di Ellena. Fece il suo esordio il 4 febbraio 1940, un Novara-Torino 0-1. Quell'anno Ossola giocò poi altre due partite (contro Bologna e Napoli).

    L'Italia entra in guerra, il calcio va avanti
    L'Italia, che sino ad allora era rimasta alla finestra, il 10 giugno 1940 entra nel conflitto mondiale al fianco della Germania. Mussolini era talmente sicuro che si sarebbe trattato di una "guerra lampo", che annunciò anche che i calciatori sarebbero rimasti a casa, sostenendo che "Servono più sui prati che all'esercito".

    L'anno successivo Ossola mostra il suo valore: è capocannoniere granata, realizza 14 reti su 22 presenze, ma la squadra nel suo complesso non muta granché fisionomia. Termina lontano dalla vetta, 7° con 30 punti, 9 in meno del Bologna tricolore. Si ritirano quell'anno due giocatori: Oberdan Ussello, che andrà ad occuparsi del settore giovanile, e Raf Vallone, che preferisce dedicarsi al cinema e al teatro.

    La lungimiranza di Novo gli permise di approfittare del clima di stagnazione, e scarsi investimenti. I soldi per il calcio erano pochi, e Novo giocò d'anticipo. In vista del campionato 1941/1942 portò in granata ben 5 nuovi nomi: dall'Ambrosiana per 250 mila lire arriva Ferraris II, l'ala sinistra della Nazionale campione del mondo 1938; dalla Fiorentina, su suggerimento di Ellena, arriva Romeo Menti, un'ala veloce con facilità di piede e tiro potentissimo (operazione portata a termine attraverso uno scambio con Gei, appositamente prelevato dal Liguria per 300 mila lire); quindi Alfredo Bodoira, Felice Borel e Guglielmo Gabetto, un terzetto proveniente addirittura dai "nemici" bianconeri.

    L'arrivo in granata di Gabetto è merito di Borel il quale, forse per ripagare Novo della fiducia con cui lo prelevava dalla Juve dopo alcuni anni di incomprensioni tecniche, rivela che Gabetto, che alla Juventus consideravano ormai "spremuto", sarebbe stato ceduto al Genoa per 300 mila lire. Borel suggerì di alzare il prezzo e Novo portò in granata il centravanti per 330 mila lire.

    Dal "metodo" al "sistema"
    Svolta nella svolta. Borel, che in futuro avrebbe ricoperto il ruolo di allenatore, Ellena e Copernico suggeriscono a Novo di tentare di applicare nel Torino la tattica del "sistema", un nuovo modulo di gioco che si affacciava in quegli anni.

    Sino ad allora la tattica che andava per la maggiore era il "metodo", un tipo di disposizione più difensiva, che aveva consentito all'Italia di Pozzo di vincere i Mondiali del 1934 e del 1938, la cui forza era data soprattutto dal contropiede. In difesa c'erano solo due terzini e un centromediano che faceva spola in avanti appoggiando la manovra offensiva per poi rientrare; in mediana la fase offensiva era impostata dai centrocampisti, mentre le ali avevano il compito di servire i palloni per il centravanti. La fase realizzatrice non era semplice in quanto la regola del fuorigioco prevedeva dovessero esserci tre giocatori tra l'attaccante e la porta: bastava dunque far avanzare un solo difensore per far scattare la trappola del fuorigioco.

    Nel 1926 veniva cambiata la regola: fu portato a 2 il numero di giocatori necessari per far scattare il fuorigioco. Ciò creò subito non poche difficoltà alle squadre dell'epoca ed aumentò notevolmente il numero di realizzazioni in campionato.

    Fu così che negli anni Trenta l'inglese Herbert Chapman, tecnico dell'Arsenal, sviluppò una nuova tattica, detta appunto "sistema" o "WM", dal tipo di disposizione tattica: in pratica una sorta di 3-2-2-3, con tre difensori, quattro centrocampisti (due mediani e due interni), tre attaccanti posti ai vertici di una W e una M. Chapman, per cautelare la fase difensiva, scelse di arretrare un mediano alla linea dei difensori, creando di fatto lo "stopper", mentre i terzini marcavano le rispettive ali. I compiti di marcatura erano più semplici, ed essendo uno schieramento speculare nasceva anche la marcatura a uomo. Ma il sistema era anche più dinamico, più equilibrato e, se giocato con i giusti interpreti, era una tattica che per la prima volta garantiva il controllo del centro nevralgico delle azioni: il centrocampo. Questo era impostato su quattro giocatori disposti a quadrato (in quanto posti appunto ai vertici della W e della M cui accennato poc'anzi) e prevedeva l'impiego di due mediani e due mezzepunte. Novo approvò il suggerimento e decise di impostare il suo Torino su questa tattica.

    Chiamò così il tecnico ungherese Andreas Kuttik al posto di Tony Cargnelli. Egli provvide ad utilizzare Ellena in posizione di centromediano "sistemista", ruolo che aveva già ricoperto nella Fiorentina, sino ad allora unica in Italia ad averlo sperimentato seppur con scarso successo. La scelta diventava alfine quantomai interessante anche per lo stesso Pozzo, sempre in sella come Commissario Unico della Nazionale, che aveva iniziato a plasmare la sua Nazionale proprio sul "blocco" Torino.

    Il campionato 1941/42 fu appannaggio della AS Roma, si sospetta con il "beneplacito" di Mussolini, anche se il Duce non s'interessava di calcio e simpatizzava semmai per la SS Lazio. Ma quell'anno furono soprattutto due sconfitte a tradire il Toro: al primo turno di Coppa Italia e in Campionato, a tre giornate dalla fine, contro il Venezia di Loik e Mazzola.

    L'opera si completa, nasce la Grande Squadra
    Quella del 1941/42 è una rosa ormai molto competitiva e collaudata ma, come accennato, le due capitolazioni che costano la partecipazione alla Coppa Italia e le ambizioni di scudetto avvengono tutte contro la stessa squadra, il Venezia di Mazzola e Loik.

    Il primo, un regista sopraffino, e il secondo, un'ala veloce, sono già perni della Nazionale di Pozzo. Novo intuisce che sono le ciliegine che mancano alla torta per rendere la squadra imbattibile. Al termine di un Venezia-Torino, terzultima di campionato, che in pratica mette fine ai sogni tricolori dei granata, Novo scende negli spogliatoi e tratta direttamente l'acquisto dei due, che finiranno sotto la Mole per 1.400.000 lire dell'epoca insieme ad altri due giocatori (Petron e Mezzadra).

    Particolare curioso: sulle tracce dei due c'era anche la Juventus, venivano seguiti da Virginio Rosetta, e più volte l'affare con i bianconeri pareva quasi sul punto di essere concluso. Poiché il presidente bianconero Piero Dusio tergiversava, il dinamismo di Novo scombussolò i piani dei cugini e diede allo scacchiere tattico quelle due ciliegine che mancavano. Così nasceva l'undici destinato ad essere ricordato come il Grande Torino.

    Al via della stagione 1942/43, a disposizione dell'ungherese Kuttk, c'è una rosa che comprende giocatori di prim'ordine: gli esperti portieri Bodoira e Cavalli; difensori di esperienza come Ferrini ed Ellena e di qualità come Piacentini e Cassano; a centrocampo i veterani Baldi e Gallea, con i nuovi Ezio Loik e Mazzola; davanti Menti e Ferraris, senza dimenticare ovviamente Gabetto e Ossola.

    Sulla carta è il Toro la squadra da battere, eppure la partenza non è delle migliori: il Toro si trova così a lottare contro la sorpresa Livorno. Questo duello dà vita ad un campionato avvincente, risolto solo all'ultima giornata quando il Toro, con un gol di Mazzola, espugna Bari.

    Il Toro riesce a vincere anche la Coppa Italia proprio contro il "terribile" Venezia dell'anno prima e diventa la prima squadra a centrare simile "doppietta". La partita si gioca a Milano e il Toro, grazie ad una doppietta di Gabetto e reti di Mazzola e Ferraris II, ottiene la vittoria con un secco 4-0.

    Campionato di guerra 1944
    Nel 1944 l'Italia, ormai devastata dalla guerra, è spezzata in due dalla linea gotica. Il regime fascista è caduto, l'esercito americano avanza nel sud della penisola. Eppure i campionati di calcio, per salvare le apparenze, vanno avanti e, su decisione della Federazione, hanno un'organizzazione a gironi. I trasferimenti sono comunque difficoltosi poiché i bombardamenti degli Alleati, interrompendo sovente i collegamenti ferroviari, costringono chi viaggia ad affrontare lunghi percorsi a piedi.

    Per evitare i rischi di chiamata alle armi, molte squadre si ingegnano: con astuzie diplomatiche, assicurano i propri campioni alle industrie più importanti del paese, facendoli passare come elementi indispensabili alla produzione dell'industria bellica nazionale, riuscendo di fatto ad esentarli dall'impiego al fronte.
    L'insospettabile connubio Torino-Fiat, rinforzato da Silvio Piola e protagonista nel Campionato di guerra 1944.

    Il Torino di Novo trova così una (ai giorni nostri impensabile) collaborazione con la Fiat, dando vita al "Torino Fiat", un nome quasi come fosse una squadra aziendale. In effetti, Mazzola e gli altri, per salvare le apparenze, sono di fatto operai della Fiat. Alcune foto dell'epoca li ritraggono al tornio e alle macchine utensili.

    La Juve, del resto, emigra ad Alba e si abbina alla Cisitalia, azienda automobilistica appartenente all'allora presidente bianconero Pietro Dusio.

    Nel Torino giocano il portiere Griffanti, del giro "azzurro", prelevato dalla Fiorentina e il vercellese Silvio Piola, centravanti della SS Lazio, salito al nord per prendere la famiglia e portarla nella Capitale e rimasto invece bloccato in alta Italia in seguito all'armistizio.

    Il campionato "vero" si gioca solo al nord e, nella prima fase a gironi, il Torino gioca nel girone Ligure-Piemontese. La squadra granata si rivela una schiacciasassi: seppellisce 7-1 Genoa e Biellese, regola 7-0 l'Alessandria, martirizza 8-2 il Novara, strapazza per 5-0 anche la Juve. Nel girone di semifinale se la vede con l'Ambrosiana, il Varese e i "cugini" bianconeri. Pur zoppicando nei derby (una sconfitta 1-3 e un pareggio 3-3), fa il pieno di punti contro le lombarde, aggiudicandosi così la fase finale a tre (Torino, Spezia e Venezia) che si gioca a Milano.

    Ma quel Torino che, seppure non al completo, poteva contare su giocatori di prim'ordine, alla fine perderà lo scudetto. Complice un incontro non ufficiale della Nazionale, organizzato per motivi di propaganda, disputato a Trieste solo due giorni prima della sfida contro lo Spezia. Nonostante la trasferta resa difficoltosa dalle operazioni di guerra, il presidente Novo, sottovalutando gli avversari, rifiuta la proposta della Federazione di rinvio della gara contro gli spezzini che, più freschi, non lasciano Milano. Lo Spezia veniva dal pareggio 1-1 contro il Venezia. L'incontro decisivo termina a sorpresa con la vittoria dei "Vigili del Fuoco" per 2-1, rendendo dunque inutile la successiva e rabbiosa vittoria del Torino contro i lagunari per 5-2.

    1945: Dopo la Guerra, torna anche il calcio
    Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l'Italia si ritrovò in macerie e spezzata in due. Gli accaniti combattimenti lungo la Linea Gotica dell'inverno 1945 avevano gravemente compromesso, se non distrutto, le linee di comunicazione sull'Appennino, rendendo assai difficoltosi gli spostamenti fra la Pianura Padana e la Penisola Italiana.

    In queste condizioni, la Federazione decise di far ripartire il campionato di calcio con una formula una tantum. Per la prima volta dal 1929 non fu disputato a girone unico.

    Nel Nord del paese fu organizzato un Campionato dell'Alta Italia che si poneva in continuità con quello prebellico di Serie A, essendovi ammesse tutte le società che avrebbero avuto titolo a partecipare alla massima serie della soppressa stagione 1943-44. Nel Meridione la situazione era ancora più complessa, non essendoci ivi sufficienti società aventi titolo alla massima serie. La soluzione fu trovata organizzando un Torneo Misto fra le squadre di Serie A e quelle di Serie B.

    Solo alla conclusione dei due raggruppamenti le prime quattro classificate di ogni campionato si sarebbero qualificate al girone finale che avrebbe determinato la vincitrice dello scudetto, con una formula che ricordava non poco quella dei campionati precedenti il 1926, con l'unica differenza che in quegli antichi tornei si qualificavano alla finalissima nazionale solo due squadre. Per questo complesso meccanismo il campionato 1945-46, pur comparendo regolarmente negli albi d'oro, non è assimilato a quelli di Serie A e non compare nelle relative statistiche.
    Il "Grande Torino" del 1945-46

    Così il 14 ottobre del 1945 riparte il campionato dei granata con lo scudetto sulle maglie. Novo ha dato alla squadra l'assetto definitivo con l'arrivo del portiere Bacigalupo dal Savona, del terzino Ballarin dalla Triestina dalla quale era già stato "pescato" Grezar, il rientro dall'Alessandria dell'elegante Maroso, del centromediano Rigamonti dal Brescia, del laterale Castigliano, vercellese come Ferraris, dallo Spezia.

    Praticamente difesa rivoluzionata e attacco identico al passato, per questa squadra che Novo affida al torinese purosangue Luigi Ferrero, valida ala sinistra granata dell'immediato anteguerra, che come allenatore si era ben comportato a Bari.

    L'inizio non è molto promettente, alla prima giornata c'è subito il derby e subito la prima sconfitta: decide l'intramontabile Piola, che è passato ai bianconeri dopo la parentesi granata del 1944, con un preciso rigore.

    Ma il Torino lascia subito intendere che si è trattato di un autentico infortunio quando nelle due giornate successive realizza undici goal senza subirne nessuno contro Genoa e Sampierdarenese, iniziando una travolgente marcia nel suo girone, che lo porterà a battere tutti i record. I granata si "vendicano" anche della Juventus nel derby di ritorno, in calendario a gennaio ma recuperato a metà marzo, con una rete del poderoso Castigliano. Il girone si chiude con tre punti di vantaggio sull'Inter, seguito da Juventus e Milan. Nel girone finale accedono anche, dal Sud, Napoli, Bari, Roma e Pro Livorno.

    L'inizio è travolgente: il Torino gioca a Roma, e con i suoi schemi armoniosi, con la sua potenza realizza sei goal in mezz'ora, uno ogni cinque minuti. Si limita a fare dell'accademia solo nel secondo tempo quando si accorge si stare umiliando la squadra della capitale realizzando solo più una rete. La gente è prima allibita, poi applaude. Ci sono altre partite trionfali in questo girone finale, come un 7 a 1 al Napoli e il 9 a 1 dell'ultima giornata con la Pro Livorno che non è più la squadra garibaldina di tre anni prima. Ma c'è qualche rischio, perché la Juventus è cresciuta di tono rispetto alle eliminatorie, batte il Toro all'andata (ancora un rigore di Piola) e alla penultima giornata guida con due di vantaggio. Ma c'è il derby di ritorno, che vale tutta la stagione: il possente e lucido Torino non fallisce l'obiettivo e un goal di Gabetto aggancia i bianconeri in testa alla classifica.

    All'ultima giornata, come già scritto, i granata rifilano al Filadelfia nove reti al Pro Livorno, mentre la Juve a Napoli non riesce ad andare oltre l'uno a uno. È scudetto per il Toro, il terzo della sua storia, il secondo trionfo dello squadrone di Ferruccio Novo.

    Campionato 1946/47
    Le ferite della guerra si stanno rimarginando, il calcio torna al girone unico e contribuisce ad unire di più l’Italia. II campionato, per la difficoltà immediata di mettere in fila le sedici migliori, si disputa con un gigantesco torneo a venti squadre, quindi 38 giornate che occupano l'attenzione dei tifosi da settembre al luglio successivo. II Torino non ha apportato modifiche sostanziali al suo telaio, ma ha rafforzato il parco giocatori. Novo è oculato, non vuole farsi prendere in contropiede quando qualche pezzo della squadra magica comincerà a invecchiare. Insieme al ritorno di Romeo Menti, arrivano il mediano mantovano Danilo Martelli dal Brescia, il terzino-stopper Francesco Rosetta del Novara, il portiere Piani, il vercellese Tieghi.

    Non ci sono grossi problemi per l'allenatore Ferrero, la squadra è talmente matura e conscia delle proprie possibilità che si amministra bene da sé. Forse è fin troppo conscio delle sue possibilità, l’undici granata, perché comincia il campionato al piccolo trotto, quasi per dare agli altri un vantaggio, per avere poi più gusto a ritornare in vetta.

    Così c'è un pareggio casalingo con la Triestina, all’esordio, e dopo la vittoria di stretta misura in casa della Lazio un altro pareggio con la giovane Sampdoria, poi addirittura la sconfitta in casa di quel Venezia sempre orgoglioso malgrado ragioni di cassetta gli abbiano fatto cedere i migliori giocatori. Malgrado gli sforzi il Venezia però a fine stagione retrocederà con Brescia e Triestina.

    Alla quinta c'è il derby, la Juventus sta facendo risultati, Piola regge ancora, al suo fianco alla mezzala c'è un cecoslovacco di talento, Vycpalek. E uno zero a zero nervoso e poco brillante, dopo cinque giornate il Torino è riuscito a collezionare la miseria di cinque punti, Juventus e Bologna stanno andando forte.
    Il Torino Campione d'Italia 1946-47

    Ma dalla sesta il Torino produce la sua prima grande fiammata, si dimostra imbattibile per autorità, potenza, stile, eleganza del suo gioco. Ottiene sei successi consecutivi con punteggi che non lasciano ombra di discussione, alla tredicesima giornata è in testa. Merita però soffermarsi un istante sull’ottava giornata, 10 novembre 1946, quando arriva al Filadelfia il Bologna imbattuto da sette domeniche, con l’acrobatico portiere Vanz che non ha ancora subito un goal dall’inizio del torneo. Dopo pochi minuti Grezar non trasforma un rigore, Vanz sembra protetto da un incantesimo. Ma i granata chiudono implacabili il Bologna nella sua metà campo, lo stringono d'assedio. Intorno al ventesimo minuto la palla giunge a Castigliano che dal limite dell'area spara al volo "mettendo nel tiro la volontà di vittoria di tutta la squadra", scrivono le cronache di allora. Vanz non vede neppure la palla, il Torino poi dilaga e va a vincere per quattro a zero. Negli spogliatoi si sentirà il presidente Dall'Ara gridare ai suoi: "Ma siete ammattiti, non sapete che nel Torino segnano anche i mediani? E ne lasciate libero uno! Sapete almeno chi è Castigliano?".

    II successo più sonante di questa fase arriva con la Fiorentina, 7 a 2. La Juventus però non molla, il Torino si distrae di nuovo per un attimo e perde la testa della classifica quando viene sconfitto dall’Alessandria del terzino nazionale Rava e del portiere Bodoira, ex granata. Ma, insieme al pareggio interno con il Modena che arriva due settimane dopo, è l’ultima concessione che il Torino fa al campionato per renderlo interessante. Dal ventunesimo turno i granata tornano soli al comando rafforzando via via la loro posizione, finendo per vincere il torneo con dieci punti di vantaggio sui bianconeri. II girone unico lungo ed estenuante, una specie di maratona, è ciò che ci vuole per esaltare Ie doti di fondo, tecnica e carattere di questo meraviglioso squadrone. I granata, dopo un ultimo passo falso con la Sampdoria (l’unica formazione che in questo torneo riesce a portare via al Torino tre punti su quattro) infilano una serie finale di sedici partite utili consecutive, delle quali ben quattordici sono vittorie, a cominciare da quella nel derby propiziata da Gabetto, per andare ad altri sonanti successi, come cinque goal all'Inter e all'Atalanta, sei al Vicenza, al Genoa e al Milan. È uno spettacolo pirotecnico quell'attacco, che conclude con 104 goal all'attivo, una media di quasi tre a partita, e con Mazzola capocannoniere.

    Campionato 1947/48
    Lo sport sta di nuovo germogliando, Fausto Coppi vince da dominatore il Giro d'ltalia, Consolini e Tosi con i loro memorabili duelli nel lancio del disco riportano il profumo dell'Olimpiade, per la quale si effettuano i preparativi a Londra. In questo rifiorire di iniziative e di volontà il Torino, che è stata la prima squadra fin dal 1945 a riallacciare contatti internazionali con club inglesi e svizzeri, si avvia a giocare il suo campionato più entusiasmante, ammesso che si possa fare meglio ancora dell'anno precedente, quando aveva staccato di dieci punti la Juventus. II commissario tecnico azzurro Pozzo, quasi oppresso dalla superiorità granata, sperimenta una nazionale dove trovano posto soltanto Ballarin, Maroso e Mazzola e in novembre l'Italia viene sonoramente sconfitta a Vienna per 5 a 1.

    Ma veniamo al campionato più lungo della storia del calcio italiano, disputato da ventuno squadre per motivi geopolitici, con il recupero della Triestina che era finita in serie B: un campionato che ha inizio a metà settembre e si concluderà alla fine del giugno seguente praticamente senza interruzioni, occupando ben quaranta giornate.

    Se n'è andato l'allenatore Ferrero, la guida viene assunta da Mario Sperone con Roberto Copernico direttore tecnico, ma intanto rientra come prezioso consigliere di Novo anche Egri Erbstein, dopo aver dovuto nascondersi a lungo per le persecuzioni razziali. La campagna acquisti serve al solito per rinforzare la «rosa», con il terzino spezzino Sauro Tomà a far da puntello a Maroso, il più classico dei giocatori granata, che soffre sovente di una fastidiosa pubalgia, e con il rumeno Fabian, attaccante.

    Questa volta il Torino parte con piu determinazione dell'anno precedente, la concorrenza si è fatta agguerrita e ambiziosa, bisogna tenere gli occhi bene aperti. C'è un esordio subito esaltante con un quattro a zero al Napoli, che comincia così la sua stagione più nera, al termine del campionato verrà retrocesso all'ultimo posto per un tentativo di illecito e andrà in serie B insieme alla Salernitana, al Vicenza, alla gloriosa Alessandria. Gioca ancora, e segna, Ferraris II, ormai sulla via del tramonto, che nel corso della stagione verrà rilevato da Ossola.

    Dopo uno scivolone alla seconda giornata in casa del Bari che è sempre stato una temibile bestia nera per i granata, c'è l'esplosione con un sei a zero alla Lucchese e soprattutto un sette a uno sul campo della Roma. La Roma di Risorti, di Amadei e Pesaola, è completamente annichilita, annientata dal gioco corale di questo squadrone che strappa applausi anche al pubblico nemico. È il preludio, questo incontro, di un'annata davvero storica, irripetibile per chiunque, dove crollano tutti i record; alcune partite fanno storia, come il dieci a zero all'Alessandria, o il cinque a zero alla Fiorentina il giorno di Capodanno, con Gabetto che attira Moro in uscita, gli alza la palla sul capo con un tocco di ginocchio, scatta oltre il portiere e si porta il pallone in rete.
    Una formazione del "Grande Torino" nel 1947-48

    Ma andiamo con ordine: ventun reti in sei giornate non bastano a liberare il Torino della concorrenza di Juventus e Milan, la stessa ripescata Triestina con qualche ritocco è tornata squadra competitiva e pericolosa. Nel primo derby il Torino non va oltre il pareggio, si fa notare un biondino di nome Boniperti che mette parecchio a disagio i granata. Poi arriva la sconfitta di Bologna grazie a una rete del poderoso centravanti Cappello e il Milan ne approfitta per staccarsi.

    Ma i granata sono protagonisti di autentiche fiammate che inceneriscono ogni avversario, quando decidono di spingere sull'acceleratore. C'è un pirotecnico sette a uno alla Salernitana, un cinque a zero all'Inter firmato da tutti e cinque gli uomini dell'attacco granata, un goal a testa per non fare ingiustizie (sembra una battuta, questa, ma la generosità, l'altruismo, la solidarietà fra giocatori era il punto di forza di quello squadrone), poi arrivano sei reti alla Triestina e le cinque alla Fiorentina di cui già abbiamo detto più sopra.

    Proprio alla penultima giornata del girone di andata però nel confronto diretto il Milan respinge il Torino: tre goal rossoneri nel primo tempo, la fiammata granata riesce a ridurre il distacco a tre a due, non a pareggiare contro Annovazzi e Carapellese, contro il goleador uruguaiano Puricelli. Il Torino termina così la prima metà di campionato staccato di due punti dal Milan ed alla ventiquattresima i punti di differenza sono diventati quattro (33 a 37) complici due pareggi con Napoli e Lucchese.

    Gli appassionati di calcio seguono con trepidazione ed interesse questa sfida: la macchina da goal granata riuscirà a capovolgere l'esito del campionato, che sembra fatto apposta per esaltare le doti di fondo del Torino, che si scatena all'inseguimento. Per tre giornate consecutive (dalla ventiquattresima alla ventiseiesima) avanza a suon di quattro goal con le malcapitate Roma, Vicenza e Pro Patria, rallenta appena la domenica successiva pareggiando il derby con l'irriducibile Juventus, ma quel punto basta per raggiungere i rossoneri.

    Due giornate insieme al comando, poi la fuga. Una fuga entusiasmante, ventun giornate di campionato senza piu perdere dopo quella sconfitta all'andata col Milan, due punti di vantaggio, cinque, sette, dieci, dodici... Saranno sedici quando il campionato si conclude ormai in estate, con sei successi consecutivi finali.

    Per dire di una squadra che domina a piacimento le avversarie merita ricordare il quattro a tre sulla Lazio della trentaseiesima. Il Torino ha un inizio disastroso, a un certo punto Bacigalupo sbaglia addirittura un rinvio con le mani e dà il pallone a Penzo, che stoppa con calma e segna per i romani, in vantaggio a quel punto addirittura per tre a zero.

    Allora Mazzola chiama a raccolta i compagni che si scatenano; con una doppietta di Castigliano, una rete di Gabetto e una di capitan Valentino, in mezz'ora il risultato è capovolto da questa squadra che quando decide di vincere diventa irresistibile e conclude con 29 vittorie su 40 partite, 125 goal segnati, una cinquantina in più di Milan e Juventus, alla media di 3,12 a partita, 33 goal subiti, cioè meno di tutti.

    Essendo un campionato a ventuno squadre per il ripescaggio della Triestina, ogni domenica una squadra riposava. II turno di riposo del Torino cade proprio l'ultima domenica di campionato ed i granata se ne partono per una tournée in Sudamerica con sette giorni d'anticipo e lo scudetto in tasca.

    I bomber sono Mazzola (25 reti) e Gabetto (23), ma il biondino Boniperti con 27 si porta via il titolo di cannoniere.

    Campionato 1948/49
    È passata una breve estate dalla fine del campionato precedente, riempita dal successo di Gino Bartali al Tour dieci anni dopo il suo primo trionfo, riempita da un'Olimpiade in cui si è parlato tanto dei discoboli azzurri Consolini e Tosi, primo e secondo. Mentre si è parlato meno dei calciatori, che dopo un decennio, si ripresentano ai Giochi di Londra '48 per riprendere le competizioni ufficiali. Un illusorio nove a zero sugli Stati Uniti non basta, tre giorni dopo vengono eliminati dalla Danimarca per cinque a tre. Ma la preoccupazione di allestire una formazione abbastanza "olimpica", senza assi strapagati, ha reso vulnerabile la squadra. L'insuccesso di Londra costa a Pozzo il posto di commissario unico azzurro, e proprio Novo prende il suo posto.
    Il Torino 1948-49

    Riparte il campionato, a metà settembre, con un Torino sostanzialmente identico a quello dei precedenti scudetti; c'e il solo Ossola stabilmente al posto di Ferraris II che, a 36 anni, si trasferisce al Novara. Ma il presidente Novo ha acquistato ancora per allargare la "rosa": arriva il mediano Rubens Fadini dalla Gallaratese; Dino Ballarin, fratello di Aldo, portiere del Chioggia; il terzino Operto dal Casale; l'ungaro-cecoslovacco Schubert, mezzala sinistra; gli attaccanti Bongiorni e Grava rispettivamente dal Racing Parigi e dal Roubaix. Tutti ragazzi che giungono entusiasti di inserirsi in quello squadrone e che purtroppo hanno il destino segnato.

    II Torino si presenta al campionato un pochino stanco dopo una lunga tournée in Brasile in cui ha incontrato Ie famose squadre del Palmeiras, Corinthians, San Paulo, Portuguesa, perdendo una sola volta. La squadra, la più famosa al mondo, è richiestissima all'estero, tutti vogliono vedere il Torino, giocare e misurarsi contro i granata. In questo torneo ridimensionato a venti squadre dopo le 4 retrocessioni e 3 sole promozioni, guida le operazioni granata Egri Erbstein, in veste di direttore tecnico, con l'inglese Leslie Lievesley allenatore.

    Torino un po' stanco, si diceva. Poi ci si mettono alcuni infortuni a Maroso, Castigliano, Menti, e Tomà a creare qualche problema, senza dimenticare anche una lunga squalifica a Ballarin. I granata, che all'esordio hanno battuto con una certa facilità la Pro Patria, subiscono alla seconda giornata una inattesa sconfitta dall'Atalanta; si riprendono con cinque successi consecutivi, fra cui quello importante del derby, ma cadono nuovamente, a Milano, contro i rossoneri. La gente si attende l'exploit del quinto scudetto consecutivo che eguaglierebbe l'incredibile primato della Juventus anni trenta, ma il Torino resta in mischia a lottare con il Genoa, l'Inter, il Milan, l'incredibile Lucchese allenata da Viani.

    II Torino ogni tanto cede la posizione di testa, poi la riconquista. Termina il girone d'andata al primo posto alla pari con il Genoa, dal quale ha subito la terza sconfitta stagionale. Un rotondo tre a zero maturato nella ripresa, che sarà anche l'ultimo passo falso del campionato. Come gia nel recente passato, questo squadrone granata ha enormi doti di fondo, comincia a correre quando gli altri accennano ad avere il fiato grosso. Ecco perciò la marcia inarrestabile, con Bongiorni che trova anche i suoi goal, con Mazzola che decide Ie partite piu difficili. II derby di ritorno è un trionfo per i granata, che demoliscono con tre reti quella Juve forte di John Hansen, il danese che con i suoi goal aveva eliminato l'Italia dall'Olimpiade di Londra.
    Il Torino dei "ragazzi"

    II vantaggio sale inesorabilmente, il Torino arriva ad accumulare fino a sei punti sull'Inter portatasi al secondo posto. Arrivano poi un paio di pareggi (a Trieste e a Bari) così da portare, alla vigilia della trentaquattresima giornata (ne mancano cinque alla fine), il 30 aprile del '49, i nerazzurri a soli quattro punti dai granata. Li attendono a Milano nello scontro diretto. L'occasione è grossa, l'Inter spera: se batte i granata si porta a due punti di svantaggio.

    II Torino arriva a Milano, si batte "da toro" stringendosi attorno a Bacigalupo, non segna ma non lascia segnare gli avversari, forti di un attacco ambizioso, con l'estroso Lorenzi, Amadei, Campatelli, quel "diavolo" di Nyers. Ma quel Torino, quando vuole un risultato, difficilmente fallisce l'obiettivo. Finisce 0-0 e il pareggio è una garanzia alla conquista del quinto scudetto consecutivo.

    Si può andare in Portogallo a giocare l'amichevole contro il Benfica. Tragicamente poi, nel viaggio aereo di ritorno, i granata si fermeranno a Superga.

    Benfica-Torino, l'ultima partita
    Francisco Ferreira era capitano del Benfica e del Portogallo. Con Mazzola si erano incontrati a Genova a fine febbraio come capitani delle rispettive nazionali nella partita che ha visto l'Italia vincere per 4-1. Nel corso dei festeggiamenti del dopo-partita, come era prassi allora, i giocatori si erano trovati a fraternizzare tra loro. I due capitani presero a conoscersi con interesse. Ferreira racconta al capitano granata che ha intenzione di concludere la carriera a fine stagione, disputando, come conviene, una partita d'addio, del cui incasso avrebbe beneficiato. Pare che un principio di accordo fosse stato fatto con il Bologna del presidente Dall'Ara, ma era certo che avere, per Ferreira, il Torino, la squadra più famosa del momento, avrebbe garantito uno stadio esaurito in ogni ordine di posto.

    A Mazzola è simpatico Ferreira e la cosa è reciproca, dice che si può fare, che ne avrebbe parlato al presidente Novo. Così, dopo un mese, sul finire di marzo l'Italia è in Spagna per l'incontro amichevole con la Nazionale iberica. Mazzola e Novo sono rispettivamente capitano e allenatore degli azzurri. Ferreira non manca all'appuntamento: per salutare Mazzola e per incontrare Novo, che è al corrente della sua gara d'addio grazie all'intercessione di capitan Valentino. L'accordo è presto fatto: l'ultima partita di Ferreira sarebbe stata Benfica-Torino. La presidenza Novo, va detto, è moderna per quei tempi.

    Il Grande Torino a fine stagione del campionato precedente era partito per una tournée in Brasile e di recente aveva disputato una partita a Bruxelles per inaugurare il nuovo stadio del Racing Club. La società rimpinguava il bilancio e i giocatori intascavano premi partita. Va anche ricordato che quel Torino era una squadra tra le più famose al mondo per gioco, fantasia e successi e le richieste certo non mancavano.
    La formazione dell'ultima partita del Grande Torino

    Ma torniamo a Benfica-Torino: la partita fu decisa per il 3 maggio, un martedì. Quindi Inter-Torino, partita di cartello di un campionato a cinque giornate dalla fine, è giocata come anticipo, al sabato. Quattro punti dividono le due squadre. Uscire indenni da San Siro è, per i granata, come cucirsi il quinto scudetto consecutivo sul petto. Malgrado importanti assenze come quella di Mazzola febbricitante, il Toro riesce a respingere gli attacchi dei nerazzurri e la partita non va oltre lo 0-0. Al fischio finale dell'incontro tutti i giocatori granata corrono ad abbracciarsi al centro del campo festanti, quel punto è ormai la garanzia dello scudetto. Purtroppo solo il destino sa che perdere quella partita avrebbe loro salvato la vita: con il campionato ancora in bilico, Novo avrebbe detto di no alla trasferta di Lisbona.

    La partenza sarebbe avvenuta direttamente da Milano il giorno dopo. Dei giocatori non facevano parte della comitiva il difensore Sauro Tomà bloccato a Torino da un infortunio e un deluso Gandolfi, il secondo portiere, a cui solo all'ultimo era stato detto che in Portogallo non sarebbe andato. Aldo Ballarin aveva convinto il presidente Novo a "premiare" per questo incontro amichevole suo fratello Dino che in rosa era il terzo portiere. Novo insieme a Copernico erano rimasti a Torino, Agnisetta e Civalleri erano i dirigenti accompagnatori con Bonaiuti responsabile della trasferta, per l'area tecnica c'erano Leslie Lievesley, Egri Erbstein, e poi il ruolo importante del massaggiatore Vittorio Cortina. Facevano parte della comitiva anche i giornalisti Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa).

    Quest'ultimo prese il posto di Vittorio Pozzo. Pozzo era l'inviato sportivo de La Stampa di Torino ma, visto il recente avvicendamento sulla panchina della Nazionale e le incomprensioni che erano nate tra lui e Novo, il suo nome non era molto gradito in quel periodo dalla società del Torino Fc (aveva deciso di andare a Londra alla finale della Coppa d'Inghilterra). Il fato salverà la vita anche a Nicolò Carosio, la celebre voce sportiva, a cui la società granata aveva garantito un posto sul trimotore in rotta per Lisbona, ma colui che aveva inventato la radiocronaca sportiva aveva dovuto rinunciare: impossibile far coincidere la trasferta con la cresima di suo figlio.
    L'arrivo a Lisbona

    Il Torino parte quindi dall'aeroporto di Milano per Lisbona sul trimotore Fiat G.212. Il 3 maggio è in campo di fronte a una folla di quarantamila spettatori con Bacigalupo, A. Ballarin, Martelli, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola. Per il Benfica: Contreros, Jacinto, Fernandes, Morira, Felix, Ferreira, Corona, Arsenio, Espiritosanto, Melao, Rogerio. Entrano a partita in corso Fadini al posto di Castigliano e Bongiorni al posto di Gabetto. Nei portoghesi invece si avvicendano il portiere Contreros con Machado, Corona con Batista, Espiritosanto con Julio.
    Prima del fischio d'inizio

    Lo scopo principale di queste partite è divertire il pubblico a suon di goal ed eventuali tattiche difensive passano in secondo piano. Al 4' minuto un Mazzola non al meglio, è lanciato da Loik, tira fuori a porta vuota. E allora tocca a Ossola, con la collaborazione di Grezar, Menti e Gabetto, ad aprire le marcature al 9'.

    Dopo dieci minuti i biancorossi prima pareggiano e poi con una doppietta di Melao e una rete di Arsenio chiudono il prima tempo addirittura in vantaggio 3-2 (il momentaneo 2-2 è di Bongiorni). Nel secondo tempo il Benfica allunga il passo con Rogerio ma all'ultimo minuto Mazzola venne atterrato mentre si dirige verso la porta, l'arbitro decide il rigore, trasformato in goal da Menti. La partita finisce con uno spettacolare 4-3. Tutti contenti e soddisfatti.
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    Tragedia di Superga
    La tragedia di Superga fu un incidente aereo avvenuto il 4 maggio 1949. Alle ore 17:03 il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI siglato I-ELCE con a bordo l'intera squadra del "Grande Torino" si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese. Furono trentuno le vittime.

    L'aereo stava riportando a casa la squadra da Lisbona, dove aveva disputato un incontro amichevole con il Benfica per festeggiare l'addio al calcio del capitano della squadra lusitana José Ferreira. Nell'incidente perse la vita l'intera squadra del Torino. La formazione del Torino aveva vinto cinque scudetti consecutivi, dalla stagione 1942-'43 alla stagione 1948-'49 (i campionati '43-'44 e '44-'45 non vennero disputati a causa della seconda guerra mondiale) e costituiva i 10/11 della nazionale. Insieme a Fausto Coppi e Gino Bartali, il Grande Torino aveva contribuito con le sue imprese a dare lustro a una nazione che cercava di risollevarsi dopo i terribili anni di guerra, di fascismo e di occupazione tedesca. Nell'incidente perirono anche i dirigenti della squadra e gli accompagnatori, l'equipaggio e tre dei migliori giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport); Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa). A identificare le salme dei periti venne chiamato tra gli altri l'ex commissario tecnico Vittorio Pozzo, che conosceva molto bene i calciatori del Torino. Lo spezzino Sauro Tomà, infortunato al menisco, non prese parte alla trasferta portoghese scampando miracolosamente all'incidente.

    L'impatto che la tragedia ebbe in Italia fu fortissimo. Il Torino fu proclamato vincitore del campionato e gli avversari di turno, così come lo stesso Torino, schierarono le formazioni giovanili nelle restanti quattro partite contro la squadra granata. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone scese in piazza a Torino per dare l'ultimo saluto ai campioni. Lo shock fu tale che l'anno seguente la nazionale si recò ai Mondiali in Brasile viaggiando in nave.

    Il volo e l'incidente

    Il trimotore Fiat G.212, con marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, decolla dall’aeroporto di Lisbona alle 9:40 di mercoledì 4 maggio 1949. Comandante del velivolo è il tenente colonnello Meroni. Il volo atterra alle 13:00 all’aeroporto di Barcellona. Durante lo scalo, mentre l’aereo viene rifornito di carburante, la squadra del Torino incontra durante il pranzo quella del Milan che è diretta a Madrid.

    Alle 14:50 l’I-ELCE decolla con destinazione l’aeroporto di Torino-Aeritalia. La rotta seguita fa sorvolare al trimotore Cap de Creus, Tolone, Nizza, Albenga, Savona. All’altezza di Savona l’aereo vira verso nord, in direzione del capoluogo subalpino, dove si prevede di arrivare in un trentina di minuti. Il tempo su Torino è pessimo. Alle 16:55 l’aeroporto di Aeritalia comunica ai piloti la situazione meteo: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima (40 metri). La torre chiede anche un riporto di posizione. Dopo qualche minuto di silenzio alle 16:59 arriva la risposta: "Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga". A Pino Torinese, che si trova tra Chieri e Baldissero, a sud est di Torino, c’è una stazione radio VDF (VHF direction finder), per fornire un QDM (Rotta magnetica da assumere per dirigersi in avvicinamento ad una radioassistenza) su richiesta. Giunti sulla perpendicolare di Pino, mettendo 290 gradi di prua ci si trova allineati con la pista dell’Aeritalia, a circa 9 chilometri di distanza a 305 metri di altitudine.

    Poco più a nord di questa rotta c’è il colle di Superga, vicino al quale sorge la Basilica, in posizione dominante a 669 metri di altitudine. Alle 16:59 il trimotore dell’ALI si trova dunque approssimativamente tra Pino Torinese e Torino, a 2.000 metri di quota, a circa 9 chilometri di distanza dall’aeroporto di destinazione. Nei restanti tre minuti di volo (supponendo una velocità in corto finale di circa 180 km/h in 3 minuti l’aereo avrebbe dovuto coprire la distanza che lo separava dal campo di Aeritalia) l’aereo avrebbe dovuto perdere circa 1.700 metri, una volta allineatosi con la pista. Probabilmente però, a causa del forte vento al traverso sinistro, l’aereo nel corso della virata ha subito una deriva verso destra, spostandolo dall’asse di discesa e allineandolo con la collina di Superga.

    Alle 17:03 un boato. L’aereo si è schiantato contro il terrapieno posteriore della Basilica, in volo orizzontale e allineato, senza un accenno di riattaccata o virata e si è praticamente disintegrato. L’unica parte rimasta parzialmente intatta è l’impennaggio. Alle 17:05 Aeritalia Torre chiama I-ELCE, ma non riceve alcuna risposta. Delle 31 persone a bordo non se ne è salvata nessuna.

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    Vittime dell'incidente
    Giocatori
    Valerio Bacigalupo (1924)
    Aldo Ballarin (1922)
    Dino Ballarin (1925)
    Emile Bongiorni (1921)
    Eusebio Castigliano (1921)
    Rubens Fadini (1927)
    Guglielmo Gabetto (1916)
    Ruggero Grava (1922)
    Giuseppe Grezar (1918)
    Ezio Loik (1919)
    Virgilio Maroso (1925)
    Danilo Martelli (1923)
    Valentino Mazzola (1919)
    Romeo Menti (1919)
    Piero Operto (1926)
    Franco Ossola (1921)
    Mario Rigamonti (1922)
    Julius Schubert (1922)

    Dirigenti
    Arnaldo Agnisetta
    Ippolito Civalleri
    Andrea Bonaiuti (organizzatore delle trasferte della squadra granata)

    Allenatori
    Egri Erbstein
    Leslie Lievesley
    Osvaldo Cortina (massaggiatore)

    Giornalisti
    Renato Casalbore
    Renato Tosatti
    Luigi Cavallero

    Equipaggio

    Pierluigi Meroni
    Celeste D’Inca
    Celeste Biancardi
    Antonio Pangrazi
     
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